Intervista che mi ha fatto Novella Benedetti per Unimondo
In un mondo dove basta una citazione su Facebook per sembrare degli intellettuali, l’autenticità è merce rara. Lorella Zanardo ne dispone: attivista, scrittrice, docente, è facilmente raggiungibile, garbata e tosta. Autrice del documentario “Il corpo delle donne”, da anni ricorre l’Italia cercando di portare nelle classi l’educazione ai media. Un tema che in altri paesi è da tempo inserito nel regolare percorso di studi ma sul quale, in Italia, siamo in spaventoso ritardo. Lo conferma la Zanardo, con cui abbiamo parlato: “i dati CENSIS ci dicono che il 20% dei giovani tiene lo smartphone acceso 24 ore al giorno. Gli altri, una media di 16-18 ore. I ragazzi stanno di fronte alle immagini, non alle parole: gli vogliamo dare un’alfabetizzazione?”
Creazione di gruppi Facebook di uomini che odiano le donne. Cosa ne pensi?
Non ne sono tanto stupita, perché per chi si occupa dei miei temi è un fenomeno molto vecchio. Già quando uscì “Il corpo delle donne” (nel 2009, ndr) ci eravamo accorti che online c’erano degli uomini, dei ragazzi, che costruivano delle gallery di donne della TV. Non di donne per forza bellissime: donne normali, come ad esempio Rita dalla Chiesa. E venivano schedate – sto parlando di migliaia – a seconda della parte del corpo. Ad esempio trovavi “seno”; e comparivano tutti ritagli di seni. Ma non seni nudi, piuttosto un’inquadratura dove si vedeva ad esepio l’inizio del seno; poi c’erano immagini più spinte ma non porno, erano prese anche dalla TV nella fascia diurna. Faceva molta impressione, e spiegava molto bene l’oggettivazione del corpo femminile: eravamo schedate per parti del corpo.
Pornografia soft?
Non era pornografia, era piuttosto inquietante. La cosa brutta – ma interessante come osservatori – è che i commenti alle foto non erano erotici. Di fronte a una parte del corpo di una donna quello che si scatenava era violenza. Il fenomeno c’è quindi da tempo: noi lo dobbiamo anche correlare su cos’è diventata la pornografia negli ultimi anni. Quando avevo vent’anni si vedevano giornaletti o film porno: si mostrava l’atto sessuale che aveva come obiettivo l’eccitazione e il godimento. Adesso i film porno sono violenti, sembra che il massimo della soddisfazione non sia l’orgasmo ma l’annullamento della partner. C’è una grande violenza. Devo dire che da una parte sono schifata; dall’altra non penso che chiudere siti e pagine Facebook sia la soluzione. Credo sia ora di fare un’analisi più profonda: cosa ci stanno dicendo queste migliaia di uomini e giovani uomini? Cosa c’è dietro questa rabbia furibonda nei nostri confronti?
Che risposta ti sei data?
Da una parte c’è un problema macro che non sta affrontando quasi nessuno: continuiamo a parlare dei problemi quotidiani di noi donne, ci concentriamo giustamente su una serie di battaglie – il rispetto della 194, le disparità di stipendio, ecc. Tutto importantissimo. Però dovremmo anche situare l’attuale periodo in uno scenario molto più ampio: siamo le prime generazioni che si stanno autodeterminando. E questo è ancora più forte nel godimento sessuale: ormai è quasi la norma sentire donne che parlano tra di loro delle proprie esperienze sessuali. Questo ha un significato enorme: fino a ieri, sessualmente, una donna non solo non avrebbe mai detto che il marito non la soddisfaceva – ma non sapeva neanche cosa fosse la soddisfazione erotica.
In poche generazioni siamo cambiate.
Un cambiamento epocale: agiamo in modo indipendente nella nostra vita, e quindi facciamo paura. Anche solo il fatto che fra di noi si racconti se si è soddisfatte o no mette a terribile disagio gli uomini e da un certo punto di vista lo comprendo, anche se non lo condivido. Proviamo a pensare come se fossimo uomini: per millenni non ti veniva chiesto nulla. Potevi scegliere tra un parco donne immenso; dicevi “voglio quella” ed il 99% non solo te la prendevi, ma lei ti era grata; se la soddisfacevi a letto o meno, se avevi l’amante o meno, era lo stesso, eri padrone di quell’essere. All’improvviso dall’altra parte c’è una persona che sceglie e ci viene chiesto di essere due: non uno con un’appendice, ma due. È un cambiamento enorme. Io interpreto molta di questa rabbia in un bisogno terribile degli uomini di rimetterci a posto – e da lì tutte le fantasie che ci vedono sottomesse. Guardando quelle gallery online lo vedi che c’è una rabbia a monte, non è l’immagine a suscitarti violenza, ma l’idea del femminile che va rimessa a suo posto.
Che riscontro hai con i ragazzi quando parli di questi temi nelle scuole grazie a “Nuovi occhi per i media”?
Dipende molto se nella scuola questi argomenti sono già stati trattati oppure no. Comunque quello che emerge è che i ragazzi spesso – non si può generalizzare, ma spesso – sono abbastanza fragili. Recentemente si parlava di femminicidio, e portavo ad esempio il testo della canzone “Tre messaggi in segreteria” di Emis Killa e che è la storia di un femminicidio. Lo abbiamo analizzato nelle scuole, lo conoscevano già tutti: quando Emis Killa racconta la dinamica – dove c’è sempre lei che lascia lui e lui non regge di sapere che lei è con un altro – ho notato che i ragazzi lo ammettevano: “divento pazzo se lei mi lascia, sono geloso a bestia”. Non con cattiveria, ma con grande paura di essere abbandonati. Io lo riassocio a questo momento di grandissimo cambiamento per il maschile.
Le ragazze come reagiscono?
C’è un po’ di tutto: ragazze toste che hanno già preso coscienza delle loro vite e poi la maggior che ancora non ha affrontato questi temi. Nelle scuole non si fa educazione sessuale né si educa alla relazione. Ne parliamo noi, ma con e tra i giovanissimi se ne parla poco, stanno un po’ imparando da soli. Le ragazze di fronte a questa paura maschile devono decidere se stare al gioco o lasciare il fidanzato. Mi ricordo una scuola nel sud in cui il preside era preoccupatissimo: quando organizzava le gite mi diceva che le ragazze di 16-17 anni andavano da lui dicendo che non avrebbero partecipato. All’inizio pensava che fosse per via dei genitori, invece era perché il loro ragazzo non voleva. E lui diceva: “capisce Zanardo, stiamo tornando indietro”. E questo me lo diceva un signore: ne eravamo fuori da almeno 40 anni da queste dinamiche…sono tutti effetti del non prendere in mano la situazione.
Progetti futuri?
“Nuovi occhi per i media” ci permette di fare cose stupende però ha bisogno di sponsor, e le scuole non hanno una lira. Abbiamo fatto tanto lavoro gratis ma adesso non possiamo più; alcuni comuni e regioni ci hanno sostenuto, come in Toscana e Trentino – il resto è un po’ a macchia di leopardo. Bisognerebbe che tutto questo fosse affrontato dal MIUR: l’interesse c’è ma poi non si parte ed ormai siamo in ritardo mostruoso. Tutte e tutti dovremmo attivarci per fare in modo che in futuro questa materia diventi obbligatoria: solo in questo modo possiamo rispettare la nostra parte del patto generazionale, garantire che le future generazioni siano ben informate.
Novella Benedetti