«No al silenzio sulle violenze di Colonia» Questa ė l’ intervista che mi ha fatto Antonietta De Murtas per Lettera43

Hanno attraversato la piazza della stazione centrale di Colonia nella notte di San Silvestro. E per loro è iniziato l’inferno: circondate, molestate sessualmente (uno stupro già accertato), palpeggiate, derubate di soldi e telefonini da circa mille uomini di orgine nordafricana, ubriachi.
Le vittime sono un centinaio di donne che nella città tedesca volevano solo festeggiare il Capodanno e che sono rimaste vittime di un attacco che ora le indagini iniziano a definire «premeditato» e messo in atto da «un’organizzazione proveniente dalla vicina Düsseldorf».
Il ministro della giustizia Heiko Maas ha parlato di una «dimensione completamente nuova per la criminalità organizzata».
C’è chi si è concentrato nel sottolineare che l’obiettivo delle aggressioni fosse il furto, e che le violenze sessuali fossero «solo un diversivo».
Resta il fatto che le donne molestate e violentate a Colonia non hanno sinora ricevuto la solidarietà che in altri casi è stata manifestata alle vittime di violenza.
IL BASSO PROFILO DOPO LA VIOLENZA. Si è scritto: succede a Colonia come in piazza Tahrir al Cairo o al parco Gezi di Istanbul, si è cercato di mantenere un basso profilo sull’accaduto per non alimentare razzismo, intolleranza e violenza nei confronti dei migranti, proprio in un momento in cui la politica dell’accoglienza si sta rivelando il più grande fallimento dell’Ue, incapace di gestire flussi migratori e spinte discriminatorie.
Con il risultato che però, alla fine, «per l’ennesima volta le donne vengono strumentalizzate, comunque vada, ci violentino o meno», dice a Lettera43.itLorella Zanardo, scrittrice e autrice del documentario Il corpo delle donne, che da anni si batte contro la mercificazione della dignità femminile.
«Una reazione che definirei miserabile», dice riferendosi al modo in cui sono stati racconti i fatti di Colonia, in alcuni casi silenziati dall’opinione pubblica politically correct e dall’altra esacerbati a soli fini xenofobi. E «per rendersene conto, basta vedere come si sta raccontando nel nostro Paese».


DOMANDA. Forse po’ troppo a voce bassa?
RISPOSTA. Come viene gestita la questione in Italia è vergognoso. Se diciamo: siamo donne libere e così vogliamo restare, improvvisamente leggo sul web una serie di voci critiche secondo le quali se non vogliamo dare manforte alla destra razzista e xenofoba, dobbiamo in un qualche modo stare zitte. Lo trovo un consiglio mostruoso, miserabile.
D. Che cosa si dovrebbe fare: urlare e scendere in piazza?
R. Non è una questione di femminismo, credo che un certo modo di interpretare i diritti in Italia sia superato. Indignarsi è però un diritto e un dovere, e questo non vuol dire essere xenofobi: io sono assolutamente dalla parte dei profughi, sono per l’apertura delle frontiere, voglio un’Europa accogliente.
D. Ma?
R. Ciò non toglie che davanti ai crimini di Colonia, fossero essi stati compiuti da svedesi, cinesi o marocchini, la mia condanna è comunque fortissima. Io sto dalla parte delle donne. Questa è la prima cosa.
D. Non per tutte è così, c’è chi preferisce tenere un profilo più basso per paura di essere tacciata di razzismo.
R. In questo momento trovo molto pericoloso che le mie amiche e compagne siano un po’ intimorite nel prendere posizione per la paura della strumentalizzazione delle destre xenofobe. Se noi non ci facciamo sentire questo nostro silenzio può essere penalizzante non solo verso le donne ma verso i profughi stessi.
D. Che cosa si aspettava?
R. Che dicessimo tutte forte e chiaro: noi donne condanniamo assolutamente gli episodi di Colonia, e condanniamo quanto detto dalla sindaca di Colonia.
D. Henriette Reker si è spinta a dettare un ‘codice’ di comportamento alle donne, invitandole a tenere «a un braccio di distanza» gli sconosciuti.
R. Io sono solidale con Reker, è stata persino accoltellata proprio a causa delle sue posizioni favorevoli all’immigrazione. La sua può essere stata una uscita mal meditata, detta in un momento di tensione ma comunque pericolosa.
D. Il suo decalogo è suonato come un’inversione della colpa a carico delle donne.
R. Per questo sono preoccupatissima: noi donne abbiamo lottato secoli, rischiando anche la vita, per essere libere di autodeterminare i nostri corpi, di metterci una minigonna, di uscire a mezzanotte, per quanto, purtroppo, sappiamo bene quanto questo nel nostro Paese non sia poi così facile.
D. Ora invece il consiglio è tenere gli uomini a distanza, diffidare, temere.
R. Sì purtoppo, e se non ci alziamo tutte insieme ora per dire: al nostro territorio di libertà non rinunceremo, la situazione diventerà ancora più pericolosa. Ma dobbiamo essere abili a non farci strumentalizzare: fuori la destra da questo dibattito, da chi ci vuole dare ragione solo per fini politici.
D. Al posto del decalogo che cosa avrebbe preferito sentire?
R. Tenere gli uomini a «un braccio di distanza» è quello che mi diceva mia nonna 50 anni fa. Dobbiamo fare più attenzione alle parole, al mondo che stiamo preparando per le nostre figlie.
D. Che cosa propone?
R. La politica giusta è apertura totale e allo stesso tempo condanna verso chi non ci rispetta. Se il criminale è marocchino, siriano, turco o svedese non ci deve interessare. Non prendere posizione ora sarebbe davvero come dire che siamo un po’ delle imbranate, donne impotenti.
D. In che senso?
R. Dato che non ci vogliamo far strumentalizzare, tacciamo, minimizziamo? No, dobbiamo essere fortemente dalla parte delle donne di Colonia, che questo non avvenga mai più.
D. Insomma, essere politically correct non porta a niente?
R. No, inoltre che le violenze accadono tutti i giorni non rende meno grave l’accaduto. Il fatto è che sul corpo delle donne si sono fatte le guerre, anche molto recenti se pensiamo a quanto accaduto nella ex Jugoslavia. Per questo dobbiamo difendere il nostro territorio conquistato faticosamente.
D. Sta facendo discutere un articolo del quotidiano tedesco Die Tageszeitung e riportato da Internazionale, dove si legge che: «In tutte le grandi manifestazioni in cui l’alcol abbonda, le donne devono affrontare una triste realtà…; che per certi maschi tedeschi, il carnevale o l’Oktoberfest non sono divertenti senza qualche palpatina; che succede a Colonia come in piazza Tahrir al Cairo o al parco Gezi di Istanbul».Un modo per riportare l’attenzione al fenomeno generale della violenza e minimizzare l’accaduto?
R. Spero di no, anche perché se già queste cose succedono all’Oktoberfest o in altre manifestazioni, è gravissimo, non è che perché già accaduto è meno grave. Così come sarebbe grave se si scoprisse che i fatti di Colonia sono stati resi pubblici solo 5 giorni dopo solo per non strumentalizzarlo.
D. Così a essere strumentalizzate e dimenticate sono ancora una volta le donne.
R. E non solo a Colonia. In questi giorni arrivano appelli di nuove formazioni che stanno per nascere in Italia, partiti, partitini, associazioni, tra i nomi dei futuri leader papabili non c’è una donna. E in questi momenti si spiega perché.
D. Perché?
R. Noi donne non abbiamo coraggio. Arrivano uomini di ultima categoria che senza vergogna si propongono come sindaci, amministratori, ministri, ma non c’è una italiana che faccia lo stesso. Questo dimostra la nostra incapacità di essere concentrate sui nostri interessi di donne e su chi verrà dopo di noi, e il terrore di scontentare qualche formazione di sinistra racconta questa nostra incapacità. C’è un silenzio preoccupante.
D. Silenzio che si rompe per difendere le donne solo per ribadire che «non c’è posto in Europa per chi non rispetta le nostre leggi e la nostra cultura», come ha fatto Giorgia Meloni.
R. Eppure c’è una terza via. Io temo questo popolarismo italiano ignorantissimo che si basa su: o chiudiamo le frontiere o ci violentano. Dobbiamo rifiutare questo modello, basta guardarsi intorno.
D. Dove?
R. In Norvegia, un piccolo Paese di 4 milioni di abitanti che ha avuto un flusso migratorio importante e si è trovato persone che venivano da Stati dove obiettivamente la realtà e il rapporto uomini-donne è molto diverso; così hanno creato un progetto di introduzione al Paese dove gli immigrati vengono formati agli usi e costumi del posto. Una parte è dedicata a come viene vissuto il femminile e il maschile, l’altra alla sessualità nel Nord Europa.
D. Crede che questo sia sufficiente?
R. Io credo alla possibilità che le persone cambino, si trasformino, quindi per chi viene in Europa ci deve essere un percorso di introduzione e integrazione culturale. E c’è un compito anche per noi.
D. Quale?
R. Continuare a essere molto duri e dure nel condannare la violenza contro le donne, altrimenti nessuno ci garantisce che non avverrà ancora. Ma per fare questo non c’è bisogno di conoscere la nazionalità dei violentatori.
D. Anche perché, frontiere aperte o meno, nell’Unione europea una donna su due è stata vittima di violenze fisiche o sessuali e nella maggior parte dei casi sono conoscenti e famigliari a commettere questi reati dentro le mura domestiche…
R. Esatto. Inoltre facendo finta di niente potremmo anche alimentare uno stereotipo al contrario, ovvero: nel timore che la nostra critica venga stigmatizzata dalle destre, quando questi criminali sono immigrati stiamo zitte. Se fossero stati tutti tedeschi ubriachi ci sarebbe stata una sollevazione popolare da parte delle donne europee.
D. Una discriminazione al contrario…
R. Sì, dato che sei africano ti ritengo inferiore e chiudo un occhio. Per questo bisogna fare chiarezza e non farne un fatto di razza o etnia, ma condannare per i fatti in sè che sono gravi indipendetemente da cosa c’è scritto nel passaparto di chi li ha commessi.

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