A Segrate l’ennesimo caso. Ma i media lo ignorano. Per Lorella Zanardo questa non è cronaca: è un fatto sociale di cui bisogna scrivere e parlare. Mentre le scuole educano e la politica non perde tempo.
Le aveva chiesto di incontrarsi per discutere della separazione. Ma quello che doveva essere un incontro chiarificatore, come succede ormai troppo spesso, è stato il loro ultimo appuntamento. Ciro Sorrentino, 38 anni, pregiudicato per droga, il 25 maggio ha sparato alla nuca della sua compagna Antonietta Di Nunno, di 35 anni, in un parcheggio di Segrate, alle porte di Milano, davanti ad alcuni testimoni scioccati.
La sera precedente avevano litigato per l’ennesima volta e la donna aveva deciso di andare a dormire dalla madre, dove lui è andato a trovarla per provare a ragionare. Con una pistola in tasca. Lei ha aspettato, ha accettato di fare un giro in scooter. E da lì la fine. La fine di due vite, la fine di una famiglia: i due, morti entrambi in ospedale 24 ore dopo l’accaduto, avevano quattro figli.
Non so quanti di voi abbiano letto questa storia, diventata ormai una delle tante. Che non fanno più notizia. Abitudine, assuefazione: il femminicidio ormai è all’ordine del giorno, i giornali sono stufi di scrivere sempre le stesse cose. Mi accorgo che questa tragedia ha poco risalto sui media, così, per verificare se la mia impressione è corretta, navigo sulle homepage dei tre più importanti quotidiani italiani online alla ricerca della notizia due ore dopo la conferma della morte di entrambi. Risultato: su uno non ce n’è traccia, sugli altri due un titoletto che si confonde con il resto, nella seconda metà della pagina. Confesso che per trovarli uso il tasto Control F inserendo le parole «Segrate», «spara», «omicidio». Ergo: la notizia è di serie C, per leggerla devo fare una caccia al tesoro. Di femminicidio, della rilevanza che la stampa invece dovrebbe continuare a dare a episodi come questo (che episodi non sono più), della politica che tace e della difficoltà degli uomini di fronte a noi donne emancipate, ho parlato con la scrittrice e attivista Lorella Zanardo, una delle poche che non molla:«Scagliarmi contro i giornalisti non è tra i miei obiettivi. Ma educare è importante, perché questo è un tema nuovo», ci dice.
DOMANDA: In che senso?
RISPOSTA: Il femminicidio, cioè l’omicidio di una donna in quanto donna, è un tema nuovo perché potremmo dire che fino a dieci anni fa veniva equiparato a un omicidio. È stato fatto un gran lavoro di consapevolezza perché in effetti non è così: se entra un ladro a casa mia per rubarmi una collana e mi uccide non è un femminicidio, è un omicidio. Sarebbe importante che i giornali diffondessero questa consapevolezza perché ancora si trovano tante polemiche inutili. Poi, chiariamo: non è cronaca, nel modo più assoluto.
D: Spieghiamo perché non lo è?
R: Ragazzo scippa per comprarsi il motorino, anziano investito da un tram: questa è cronaca. Relegando storie come queste nella sezione «cronaca», facciamo sì che diventino normali. Ogni tanto uno dà i numeri e ammazza una donna, lo sappiamo ormai. Non è così, questo è un fatto sociale, culturale, che investe tutta la società, uomini e donne, e gli va dato il giusto rilievo, soprattutto sui media.
D: Cosa dovrebbe fare la stampa?
R: Aiutare la società a comprendere che questo è un tema serio, parliamo di un femminicidio ogni 2-3 giorni. Alla 100esima volta che leggo di un uomo che abbia 18 o 80 anni, manovale o avvocato che sia, che ammazza la compagna perché lei lo voleva lasciare, devo capirlo. Sa cosa ho notato?
D: Mi dica.
R: Del caso di Segrate hanno parlato molto meno anche le donne, le femministe, le esperte. Sa perché? Siamo tutte esauste. Alle 100esima volta che nessuno ci ascolta, smettiamo. Io non mollo, ma sa, io voglio lavorare sui progetti, non fare la conta delle morte.
D: L’escalation di violenza è impressionante. Cosa sta succedendo agli uomini secondo lei?
R: Siamo in momento storico che ci racconta che le donne dopo aver fatto un cammino verso l’emancipazione compiono l’ultimo passo: decidono della loro vita, anche scegliendo la fine di una storia. L’uomo non ha gli strumenti per accettare che una relazione finisca. Non riesce a metabolizzarlo. Dobbiamo aiutarli in questo.
D: Infatti il copione è sempre lo stesso: lei prende la decisione di lasciarlo, lui non lo accetta e la uccide.
R: Esattamente. Se lei guarda i verbali di chi commette femminicidi in Nord Europa – dove il gender gap non è nemmeno paragonabile al nostro – Svezia, Norvegia e Finlandia sono nei primi quattro posti mentre l’Italia è al 50esimo – vedrà che comunque ci sono alti tassi di femminicidio e la motivazione è sempre la stessa. Il fatto è che gli uomini hanno imparato ad avere una compagna che la sera esce da sola, che ha amicizie solo sue, che lavora e fa anche figli, che magari guadagna più di loro, e lui a fatica si adegua. Se lei però, decide di andarsene, questo no, non viene accettato.
D: Perché una serie di conquiste sì, ma questo no?
R: Noi veniamo da millenni di società patriarcale, in cui l’uomo teneva le redini della nostra vita. Mia nonna nata nel 1910, certamente non femminista, mi raccontava della sua amica: «Era la più bella del Paese, a 28 anni rimase vedova con due bambini, per fortuna conobbe il signor Gino, vecchio e brutto, ma meno male che l’ha sposata!». Lei era stata fortunata perché era stata scelta, capisce? Noi veniamo da un passato come questo. Parliamo di pochi decenni fa. Non la condivido, ma comprendo questa crisi maschile odierna: in pochi decenni gli uomini sono passati da essere i re del mondo e decidere tutto a essere lasciati.
D: Parliamo delle soluzioni: cosa si può fare perché questa escalation finisca?
R: Prima cosa: è necessario essere consapevoli. I giornali devono affrontare questo tema con coraggio, approfondimenti, dare visibilità a questi casi. Seconda cosa: bisogna iniziare dalle scuole. Io sono molto arrabbiata con i politici che promettono cambiamenti in poco tempo. Qui parliamo di un cambiamento epocale, non è possibile avere fretta. Educhiamo maschi e femmine al rispetto, alla comprensione, alla gestione della frustrazione. E ci vorrà del tempo, ma se il tempo lo si perde la situzione peggiora.
D: Lei va anche nelle scuole a sensibilizzare sull’argomento. Che ragazzi trova?
R: Due mesi fa ero nella scuola di Sara di Pietrantonio (la 22enne data alle fiamme dall’ex fidanzato a Roma, ndr). Quelle insegnanti hanno capito, si sono rese conto che dalla scuola può partire un ragionamento importante. Non solo i ragazzi non sono abituati a sentirsi dire dei «no», sono in preda a deliri di onnipotenza, mi sono anche accorta che i ragazzi oggi sono gelosissimi. Quello di oggi è un maschile molto insicuro e bisognoso di confronto.
D: Di cosa hanno paura?
R: Sono possessivi, hanno paura di essere lasciati, non vogliono fare uscire le compagne: c’è una regressione incredibile. Di fronte a questa sacrosanta emancipazione delle donne i ragazzini sono sperduti, è umano, comprensibile. Dopo millenni gli si dice: non basta essere maschi per avere in mano il mondo, c’è l’altro. Sarete in due, sarete insieme. Ma quell’insieme va spiegato.

D: Ieri ha scritto un tweet alla ministra Maria Elena Boschi per chiederle quanto tempo dobbiamo aspettare perché parta un piano antiviolenza.
R: Sono molto perplessa: un femminicidio ogni due giorni non è sufficiente a far sì che questo tema rientri nell’agenda del nostro Paese?
D: Il governo si volta dall’altra parte?
R: Peggio. Ogni tanto si tengono buone le donne dicendo «adesso prendiamo in mano la situazione». Però lo sappiamo, il denaro serve. Il ministero delle Pari Opportunità per anni è stato senza Portafoglio, adesso la vera vergogna è non lo abbiamo neanche più. Io ho vissuto tanti anni all’estero, in Paesi del Nord, e lì sarebbe una vergogna, i giornali scriverebbero in prima pagina: «Come mai non abbiamo più un ministero delle Pari opportunità?». In Italia invece non interessa a nessuno.

Intervista di Giulia Mengolini di LETTERADONNA

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