Oggi è mancato GIOVANNI SARTORI politologo intellettuale e autore di un libro per me fondamentale “Homo Videns ”
In suo ricordo pubblico qui uno stralcio del mio libro “Senza Chiedere il Permesso” ed.Feltrinelli dove tratto dei temi cari a Sartori e a me: il potere delle immagini.

“Un altro saggio a nostro parere illuminante è quello di Giovanni Sartori, Homo videns, che chiarisce in modo dettagliato perché la tv sia una pessima educatrice, concentrando il discorso sul fatto che le immagini in movimento non sono in grado di comunicare integralmente il messaggio loro affidato. Secondo Sartori, la televisione sta operando una vera trasformazione antropologica della nostra specie: da Homo sapiens, caratterizzato dalla capacità di creare e comprendere concetti astratti, a Homo videns, capace solo di conoscenza percettiva e dunque individuo infinitamente più povero: “L’immagine non dà, di per sé, quasi nessuna intelligibilità. L’immagine deve essere spiegata; e la spiegazione che ne viene data sul video è costitutivamente insufficiente. Se in futuro verrà in essere una televisione che spiegherà meglio (molto meglio), allora il discorso su una integrazione positiva tra homo sapiens e homo videns si potrà riaprire”. Le immagini della tv, da sole, sono sfuggenti e infedeli, non riescono a dar conto della realtà e tendono a uniformare il pensiero degli spettatori. Questo perché non arrivano a spiegare la complessità dei concetti, in quanto astratti, ma si fermano alla dimensione sensibile degli oggetti. Devono dunque essere spiegate, sostiene Sartori, restituendo spazio alla parola e al pensiero: “La televisione produce immagini e cancella i concetti; ma così atrofizza la nostra capacità astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire

La sua analisi è dedicata all’informazione in tv, ma secondo noi può essere allargata ai programmi televisivi nel loro complesso: se nell’informazione sullo schermo l’immagine non è sufficiente a trasmettere contenuti complessi, nell’intrattenimento diventa veicolo di alienazione e mercificazione. In entrambi i casi, per impedire che la comunicazione si trasformi in un inganno per lo spettatore è necessaria una spiegazione di ciò che vediamo: “La televisione può mentire, e falsare la verità, esattamente come qualsiasi altro strumento di comunicazione. La differenza è che la ‘forza di veridicità’ insita nell’immagine ne rende la menzogna più efficace e quindi più pericolosa”.8

Una televisione di qualità può essere fatta, è ovvio, soltanto dalle emittenti stesse. Ma, data la situazione di degrado della tv, la spinta al cambiamento può partire anche dalla critica, esterna, ai programmi che vengono trasmessi. Saper vedere quanto ci viene proposto sullo schermo, conoscere il linguaggio della televisione per riuscire a svelarlo quando si fa ingannevole, diventare spettatori consapevoli: sono questi i presupposti indispensabili per essere soggetti e non oggetti della comunicazione.

Siamo convinti che educare alla visione della tv conduca alla creazione di uno spettatore esigente, e di conseguenza alla richiesta di un servizio di qualità a chi produce televisione: dare gli strumenti per capire cosa ci sta davanti significa dare anche la possibilità di desiderare una televisione migliore, più vera, più avvincente, più educativa.

Con un’analisi dell’immagine, del linguaggio, dei personaggi e delle dinamiche relazionali proposte dalla tv si possono mettere a nudo i meccanismi deteriori di certi programmi e permettere così a chi guarda di prenderne coscienza. Fermando le immagini e analizzandole, squarciando il velo di abitudine che abbiamo davanti agli occhi, abbiamo constatato che le persone – in particolare i bambini – si rendono finalmente conto di ciò che vedono e del messaggio che viene loro proposto. È successo e succede con la visione del documentario; ce ne siamo accorti con gli esperimenti tenuti sul blog, in cui analizziamo e “spogliamo” brevi sequenze tv facendone emergere il reale contenuto.

Spiegare la tv durante la visione è molto più difficile per via dei continui e differenti stimoli che invitano a seguire suoni e immagini senza il necessario spazio di riflessione. Quello da compiere è un lavoro di destrutturazione dell’immagine che permetta ai ragazzi di cogliere i messaggi nascosti dalla velocità di trasmissione. Una volta acquisita, l’abitudine a riflettere su ciò che si vede rimane e induce poi nello spettatore una capacità critica che difficilmente può svilupparsi in chi sta passivamente davanti allo schermo fin da bambino – fatte salve particolari condizioni di privilegio culturale che non sono appannaggio di tutte le famiglie.

Sarebbe quindi utile fornire agli insegnanti e agli educatori le competenze teoriche, tecniche e didattiche per insegnare ai loro alunni come guardare in modo critico la televisione, come possono diventarne padroni anziché schiavi.

In questi mesi di ricerca, e di incontro e dibattito con la gente, abbiamo avuto la conferma che chi sarebbe in grado di criticare la televisione ha smesso di guardarla, o la guarda distrattamente. Del resto, lo si evince anche dalle mail che arrivano al blog.

Spesso, invece, chi guarda tanta tv non ha i mezzi per interpretarne i messaggi. La discussione sulla problematica realtà della televisione italiana è un confronto che solitamente si esaurisce in cerchie di iniziati e dotti. Ma dato che gli effetti della cultura televisiva così come si sta propagando, e in particolar modo per quanto riguarda la libertà e il rispetto delle donne, costituiscono un problema sempre più evidente e pressante, riteniamo doveroso cercare di arrivare a chi quella cultura l’ha fatta propria o l’accetta passivamente. O a chi, come nel caso dei bambini, è ancora in grado – se opportunamente condotto – di sottrarvisi.

Quindi, che fare? Continuare a raccontarci le cose tra di noi? Molti, sinceramente indignati dallo stato delle cose, spesso ci dicono che quello della tv è comunque un falso problema. Basta spegnerla, sostengono, e non ci danneggerà; e di fronte al calo dell’ascolto la qualità dei programmi migliorerà automaticamente. Ma non tutti sanno che spegnendo la tv abbassiamo l’ascolto solo se siamo una famiglia Auditel; e, dato che la tv concorre con un certo peso alla costruzione dell’opinione pubblica, che gli effetti negativi di una cultura distorta e violenta come quella televisiva danneggiano comunque tutti nel momento in cui vengono assimilati da larghi strati di popolazione.

Oggi, è accendendo la tv, guardando la tv, questa tv, e guardandola insieme, che facciamo qualcosa di potenzialmente rivoluzionario. È solo così che possiamo condividere la nostra critica con quanti guardano abitualmente la televisione e fornire loro gli strumenti necessari a una percezione corretta.

Riteniamo valida ancora oggi la proposta fatta da Popper, ma siamo coscienti che, al momento, in Italia non rappresenta una strada percorribile. Pressati da un problema culturale grave come quello della nostra tv pubblica e privata, abbiamo individuato una via che possa far leva sull’impegno tanto degli individui quanto delle istituzioni, senza dover aspettare che il sistema televisivo sia cambiato dall’interno. Formando gli insegnanti delle scuole medie inferiori e superiori e mettendoli in grado di “spiegare” la tv ai loro alunni, possiamo innescare un effetto domino che ha come esito finale una nuova generazione di spettatori della tv, coscienti ed esigenti. Un vero pubblico, non più una massa di fruitori passivi di fronte all’offerta, e in grado di determinare l’offerta stessa attraverso la consapevolezza del proprio gusto e dei propri diritti.

I professori sono i soggetti più indicati perché già preparati a mettersi in relazione con i ragazzi, che incontrano giornalmente e che imparano così a conoscere anche oltre l’aspetto della trasmissione del sapere. Insegnando ai professori la decodifica televisiva si possono raggiungere indirettamente tantissimi giovani, e si convogliano all’interno della scuola stessa un sapere e una metodologia che riteniamo necessari per lo sviluppo dei cittadini di una società ormai pienamente fondata sull’informazione visiva. Inoltre, la scelta di affidare agli insegnanti l’educazione alle immagini è motivata dal fatto che il rapporto di familiarità e fiducia che instaurano con gli studenti nella normale convivenza scolastica costituisce una base importante da cui partire; se i corsi di formazione fossero rivolti direttamente ai ragazzi, non la si potrebbe sfruttare – non fosse altro, a causa del lasso di tempo limitato nel quale si svolgono.

L’interazione con la scuola rappresenta inoltre un contributo che si può portare dall’esterno per integrare i programmi didattici, programmi che a oggi non prevedono alcun insegnamento specifico sulla comunicazione audiovisiva. Una lacuna grave in un mondo che a questa comunicazione ha affidato alcuni compiti fondamentali, tra i quali, ribadiamolo, la costruzione dell’opinione pubblica. Non dare le chiavi per decifrarla appieno vuol dire limitare l’autonomia dei singoli e permettere la concentrazione del potere mediatico in gruppi ristretti.

“Educare: dal latino educere; composto della particella ‘e’, da, di, fuori e ‘ducere’, condurre, trarre. Aiutare con opportuna disciplina a mettere in atto, a svolgere le buone inclinazioni dell’animo e le potenze della mente, e a combattere le inclinazioni non buone.”

Educare. Un verbo al quale teniamo molto, e alcuni aspetti del quale devono essere chiariti. Sul fatto che l’educazione sia importante e costituisca un diritto sono tutti d’accordo, almeno in linea di principio. Ma l’educazione dovrebbe acquisire una propria fisionomia, dovrebbe diventare un programma concreto, senza il quale resterebbe solo parola astratta. I giovani hanno diritto a una formazione che sia propulsore e non ostacolo alla loro realizzazione in quanto individui, secondo il carattere e le peculiarità di ciascuno. Questo significa fornirli di strumenti intellettuali ed esperienziali che li mettano in condizioni di comprendere la natura e il messaggio recondito della comunicazione di cui sono oggetto in quanto cittadini di una società che, lo abbiamo detto, fonda la gestione e la distribuzione del potere sull’informazione visiva.

“Non c’è nessuna analogia tra la competizione fra televisioni – che è una competizione distorta – e la genuina competizione di mercato. La competizione di mercato si fonda su tre elementi: a) costo-prezzo, b) qualità del prodotto, c) rapporto prezzo-qualità. E l’interazione tra questi elementi si risolve a beneficio del consumatore.” Ma “sul cosiddetto mercato televisivo non c’è il prezzo o, più esattamente, non c’è un consumatore che sceglie e paga i prodotti rapportando la loro qualità al loro prezzo. In televisione i prodotti per i quali si forma un vero prezzo di mercato non sono i programmi: sono gli spazi pubblicitari. Vale a dire, i programmi televisivi servono alla televisione per assemblare pacchetti di spettatori che sono a loro volta i potenziali clienti da vendere alle imprese. I veri consumatori ‘paganti’ – quindi con effettivo potere di scelta e contrattazione – del mercato televisivo non sono dunque gli spettatori: sono le imprese che ne comprano l’attenzione con la loro pubblicità. Dal che risulta che qui abbiamo processi competitivi perversi che non avvantaggiano in nessun modo il consumatore. E che per di più livellano e abbassano la qualità dell’offerta”. Queste parole di Giovanni Sartori spiegano bene come chi sostiene che anche il sistema televisivo è un mercato come gli altri e che, se lasciato libero secondo la domanda e l’offerta, si regolerà da solo secondo il meglio per il consumatore grazie alla concorrenza, non tiene conto – a nostro parere – delle evidenti peculiarità di questo particolare mercato. Se il “mercato” televisivo dunque propone, tra le altre cose, un’immagine umiliante per le donne, vuol dire che è questo che il pubblico “consumatore” vuole, pubblico femminile compreso? È accettabile, per la comunità dei cittadini? Oggi, molto più che in passato, la rappresentazione di un gruppo sociale determina l’idea che di quel gruppo sociale si fa un ampio strato di individui, coloro che fondano soprattutto sui media la propria conoscenza del mondo. E le idee determinano i comportamenti. Se anche fosse la maggior parte del pubblico a voler vedere donne rese oggetti in tv, ciò corrisponderebbe comunque a un sopruso, non a una libertà. Per tornare ancora una volta a Popper, parlando di libertà, “il limite al mio pugno è il tuo naso”.