Ogni mattina penso a Giulio Regeni. E a sua madre.
Il pensiero di Giulio si accosta a quello di Ali Al Nimr, e a quello di sua madre.
Una foto di Felica, la mamma di Peppino Impastato mi accompagna da anni.

MADRI.
Figli amatissimi, perduti, morti ammazzati senza giustizia, o imprigionati da quasi bambini.
Figli di cui andare orgogliose, figli che hai cresciuto nell’amore e soprattuto nelle dignità.
Che hanno appreso dalle parole, ma ancor più dalla carne delle madri, cosa significhi lo stare al mondo.
Madri, a cui viene chiesto dalla Vita, o da Dio se preferite, di onorare la Morte del Figlio, di combattere la Prigionia del Figlio.
Non abbandonandosi al dolore mostruoso e incontenibile.
Ma continuando la loro battaglia.
L’amore più grande.
“Non piango” diceva lamadre di Giulio con espressione sperduta ” non so, non riesco a piangere. Io che di solito mi commuovo davanti ai film, non piango”.
Non può, ho pensato. Deve continuare le battaglie di Giulio.
L’Amore più grande.
Qui sotto la Poesia terribile di Pasolini sulle MAdri.
Un memento perchè il nostro amore non leghi mai i nostri figli al conformismo, alla normalità. Che non sia mai un amore che li imprigiona e che li renda schiavi.

Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate, a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.

Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.

Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.

Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!

Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
E’ così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.